Siamo di fronte a una poetica
del simulacro. Relitti surreali, ritmi immoti che
scandiscono il tempo in un metafisico fluire. Vestigia
di un’infanzia intatta e vivida, senza traccia di
angoscia esistenziale né cadenze di ansietà, ma in un
pacato stordimento.
Stilizzazione, grafia,
entropia e cosmo ordinatissimo di segni in bianconero.
Sogno itinerante fino allo scarto, alla differenza, al
punto di fuga che si apre verso un dettaglio
naturalistico, un frammento vivibile.
Teorie visionarie di maschere
in geometrico disporsi, assorte in armonie visive che
attingono a un barlume di significato, a una quiete
arcaica e istintiva, nel paranoico snodarsi uguale delle
apparenze.
E lo spazio si distende lungo
identità disperse e attoniti vuoti da colmare, abiti
incorporei, calchi di volti assenti, prospettive inerti
in cui si dissipano frantumi di esistenza.
Desertificazione, percezione
epidermica, estraniante, della necessità di un disperato
recupero della forma, di un vitalismo dissimulato
dall’inquietudine. Sulla bianca superficie del foglio
non si scatenano forze, non si dipanano timbri cangianti
e contrappunti coloristici, c’è assenza d’atmosfera,
teoria dell’eterno ritorno.
L’impassibilità dell’oggetto,
privato della sua funzione, crea disarmonie e orizzonti
strozzati dall’attesa di una trama di relazioni.
Tangibilità dell’immaginario, disordine e circolarità
nella disfatta compagine della natura. Il segno grafico
è disteso, discorsivo, anche se con ascendenze
simboliche di pur semplice decodificazione.
La profondità onirica scorre
piana verso un assolato, sbigottito confine. Che sia
mare, campagna ventosa o sfibrata periferia, la
struttura figurativa si apre ad un respiro frenetico, e
il caos feticistico del rito quotidiano si ricompone e
si fa materia fruibile, palpabile.
Paesaggio spoglio, terra
bruciata, forse propaggine desolata di una spiaggia:
in esso si incanala il
pensiero animoso nella frequenza della riconquista,
verso una spazialità perduta, che gli appartiene.
Lo sguardo umano è esterno ma
vigile, a un’assopita distrazione si oppone il desiderio
di ripopolare questo universo inanimato.
Denuncia e riappropriazione
quindi, attraverso un segno non criptico ma
percorribiie, nella speranza che quanto è inerte si
riattivi, si riconfermi come vita e non sopravvivenza,
che la maschera si faccia volto, espressione.
Roberta Ruggeri